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Cartastràccia – Vendrame

CARTASTRACCIA

Il libraio di Altaforte Edizioni racconta..

Capitolo 62 – Vendrame

“Sono in affitto, della proprietà privata non mi importa niente”. Ezio Vendrame in dieci parole. Estro da numero dieci. Ezio Vendrame da zero a dieci con un pallone tra i piedi. I più lo assoceranno ad uno sbiadito ricordo del calcio che fu, magari disprezzando la Superlega frutto della pecunia invocata da Florentino Pérez ed Andrea Agnelli, eppure Vendrame ha saputo essere il ribelle senza causa essenza ultima degli anni ’70. Figlio di Casarsa della Delizia, Cjasarsa per i friulani, luogo di culto per la memoria di Pier Paolo Pasolini, la mezzala ha girovagato tra SPAL, Vicenza, Napoli, Padova e le categorie inferiori del calcio italiano. Legato a doppio filo con Piero Ciampi, cantautore livornese presosi nella bottiglia e nella sradicante anarchia, il futbolista ha tentato tanto perché, tornando tra le note di Ciampi, “la morte mi fa ridere, la vita no”.

Cartastraccia Vendrame

I voyeur dell’esistenza in Vendrame, oltre al sangue dell’artista, cercano in maniera spasmodica i suoi aforismi. Strappano, decontestualizzando il tutto, alcuni brandelli dell’anima del calciatore per assuefare il pubblico sublimandosi nella bizzarria, a volte voluta, del personaggio. Eppure quell’uomo che con la maglia del Lanerossi Vicenza ha voluto incantare le folle spiazzandole ovunque, forse anche su un rettangolo verde. Le donne? A centinaia nel suo letto, “ma le ho amate una per una. Non ho mai fatto l’amore senza sentimento”. I maestri? Maradona, Zigoni e Meroni. “In questo rigoroso ordine, non alfabetico”. Sempre contro. Contro il calcio acrilico e modificato geneticamente.

Le penne giornalistiche, all’indomani della sua morte avvenuta il 4 aprile 2020, lo hanno voluto ricordare come il George Best d’Italia. Perché nella nostra Nazione, colonia delle colonie da 76 anni a questa parte, l’ispirazione è sempre oltre le Alpi. I soldi? “Al Vicenza prendevo 10 milioni di lire”, correva l’anno 1974. L’ala biancorossa era in procinto di accasarsi al Napoli e durante la trattativa con il direttore sportivo partenopeo, Francesco Janich anch’esso friulano, rimugina tra sé e sé: “Ora lo frego, gli chiedo il doppio”. Ingaggio concluso, l’affare del secolo? “Ferrandini, un ragazzo proveniente dall’Atalanta, l’ultimo della compagnia, prendeva 60 milioni. Mi sentii lo scemo del villaggio”.

Del tunnel, con scuse, a Gianni Rivera, del naso soffiato sulla bandierina del calcio d’angolo, del tifoso morto d’infarto vedendolo in procinto di siglare un autogoal, durante un combinato Padova-Cremonese, delle sue bizze la più significativa ed iconica rimane il gesto della vedetta. “Non era voler polemizzare con i miei compagni che non si smarcavano. Semplicemente quei trenta centimetri di altezza in più mi permettevano, per davvero, di dare un’occhiata migliore al piazzamento dei miei”. Lucidio visionario di poesia applicata ad una palla di cuoio. “Pochi aggiungono che spesso, dopo avere fatto la ‘vedetta’ in quel modo, magari ti pescavo un attaccante con un lancio di quaranta o cinquanta metri, e d’esterno per giunta”. Geometrie esistenziali della pelota.

Ezio Vendrame ha trovato il tempo di scrivere. I titoli dei suoi scritti sono puri intenti: Un farabutto esistere, Vietato alla gente perbene, Il mio cuore stuprato, Calci al vento e soprattutto Se mi mandi in tribuna, godo. Un manifesto, quest’ultimo, perché ai tempi di Napoli non convocato per una sfida con il Cagliari, durante la partita, si destreggiò in un amplesso assieme ad una modella nei bagni del Sant’Elia. Apoteosi godereccia di chi ha saputo, nel 2005, mettere in difficoltà e straniare anche la platea dell’Ariston durante il Festival di Sanremo. In fondo, il caotico pensatore e il calciatore non potranno mai essere scissi. Fino alla fine come Ezio Vendrame.

Di Lorenzo Cafarchio

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