Cartàstraccia – Filippo Tommaso Marinetti
- 10 Febbraio, 2020
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CARTASTRACCIA
Il libraio di Altaforte racconta..
Capitolo 3 – Filippo Tommaso Marinetti
Manifesto del Futurismo.
La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
Non si può dire che Filippo Tommaso Marinetti (o semplicemente Marinetti, come lo chiamava la stessa moglie) non abbia applicato questo precetto alla vita reale.
30 giugno 1911, ore 14 circa, stazione di Firenze.
Qui compare Marinetti, accompagnato da Boccioni e Carrà. Un incontro d’artisti, al Caffè Le Giubbe Rosse direte voi, di intellettuali. Tanto più che compaiono anche Prezzolini, allora direttore della “Voce”, accompagnato da alcuni redattori, Slataper e Ardengo Soffici.
Ed effettivamente un incontro tra i due gruppi ci fu: di pugilato, per la precisione, sfociato in una grandiosa rissa per riparare a una violenta baruffa avvenuta il giorno prima in una birreria.
Schiaffi, pugni e l’intervento tempestivo della polizia ma, com’è giusto che sia, nessuno querela e nessuno denuncia. Vengono tutti rilasciati giusto in tempo per riprendere il treno verso Milano.
Vita come arte, arte come azione.
“Clowns tragici che vogliono spaventare un placido pubblico ignorante”.
Non ci era andato leggero Ardengo Soffici nel definire i futuristi. Un giudizio caustico, lapidario, un insulto. E così lo presero i futuristi che, a loro volta, non avevano certo la nomea di andarci leggeri. Del resto non stiamo parlando di un Morgan o di un Bugo qualunque, qui si parla di gente che alle parole preferiva (e spesso faceva precedere) l’azione, possibilmente usando lo schiaffo e il pugno mezzo di risoluzione delle controversie.
Futuristi nell’arte, futuristi nella vita, insomma.
Liberi, soprattutto, di fare e dire ciò che volevano: “Amor sensuale della parola”, diceva Marinetti, facendo il verso all’idea di D’Annunzio che, senza remore, definiva “un cretino con dei lampi di imbecillità”. D’Annunzio, il Vate! Abominio, scandalo!
Ma a Marinetti non importava, a nessuno dei futuristi importava, lanciati com’erano in una corsa folle all’insegna del progresso, della velocità, dell’arditismo. Un’esistenza, la loro, proiettata oltre le stelle ben prima e ben più del mito a stelle e strisce della gioventù bruciata di James Dean.
Sempre avanti sui tempi, antidoti contro l’incancrenimento delle società, Marinetti e i futuristi non hanno bisogno di alcuna difesa né di alcun professore. Non hanno bisogno di lezioni ma insegnano, loro, a distruggere quella palude precostituita e stagnante dentro ognuno di noi.
Lorenzo Cafarchio