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Cartastràccia – Gianna Preda

CARTASTRACCIA

Il libraio di Altaforte Edizioni racconta..

Capitolo 77 – Gianna Preda

Il tempo misura la grandezza, ma non c’è nessuna galanteria quando nasconde, agli occhi e alla memoria, le parole, i libri e la prosa del passato. Da questo, strepitoso, passato emerge la penna di Gianna Preda all’anagrafe Maria Giovanna Pazzagli in Predassi. Ha attraversato il Ventennio per condurre i suoi scritti fino agli albori degli anni ‘80, la giornalista di Coriano scomparve a 60 anni nel 1981. Quest’estate tra gli scaffali della Libreria Bottazzi di Voghera tra le mie mani è finito il volume Fiori per io edito da Sperling & Kupfer. Una copertina bianca esagerata dove una bambina disegnata di spalle, con una fascia tricolore in testa, tiene tra le mani un mazzo di fiori gigantesco che copre una fila di camice nere adornate dal fez.

Il titolo racconta di una giovine Gianna alle prese, nel suo piccolo paese romagnolo, con la visita di Donna Rachele la moglie del Duce. La consorte di Mussolini passò in rassegna le scuole del comune e la bambina Preda fu designata, dal suo istituto, per la consegna di un cospicuo omaggio floreale a Rachele Guidi. Quando la donna si avvicinò l’agitazione salì. Una lunga preparazione. Al momento di porgerle i fiori, adornata come nella copertina del libro con una fascia tricolore intorno alla testa, Donna Rachele ringraziò: “Questi fiori sono per io?”. Un errore lessicale che perseguitò la coscienza della ragazzina.

CARTASTRACCIA Gianna Preda

Nel volume Gianna Preda attraversa la sua gioventù alla luce del Fascismo, mischiando il racconto con il lavoro da inviata e giornalista che svolse nel dopoguerra. Alcuni racconti bagnano il pudore di una Nazione d’acciaio che ha plasmato il suo presente attorno alla magnificenza di Benito Mussolini. A quindici anni, mentre era al mare sulle sponde dell’Adriatico, attese l’arrivo del capo del Fascismo sul molo per osservarlo tuffarsi in mare.

La spiaggia fremeva, Gianna conquistò la prima fila, ma avvicinandosi troppo al Duce cadde. Mussolini in una presa plastica sollevò la ragazza, ma nel farlo le palpò il seno. La pudicizia della famiglia, soprattutto della madre, invase la casa. Un testo che riporta gli italiani davanti al proprio puritanesimo di facciata che decenni di progresso non hanno cancellato. Resta impressa nell’immaginario del lettore un’altra scena. Quando il padre, simpatico e sornione davanti al fascino femminile, appoggiò la mano – maledette mani – sulla spalla di Claretta Petacci, ma senza averla riconosciuta, per passare un inteso pomeriggio in Questura.

Gianna Preda attraversò a testa alta l’Italia che usciva dalla Seconda guerra mondiale. Sposò nel 1943 Amedeo Predassi, ufficiale della milizia della Repubblica Sociale Italiana, aderendo per amore alla RSI. Divenne di destra a poco a poco per merito innanzitutto dell’ammirazione incondizionata devoluta verso Giorgio Almirante. La sua penna accarezzò il Giornale dell’Emilia, Epoca, Giornale d’Italia e Il Borghese. Lo pseudonimo che la rese istituzione tra le donne di cultura arrivò dalla sagacia di Leo Longanesi. Longanesi leggendo un suo articolo, firmato rapidamente, trasformò la grafia di Predassi in Preda. Perché il graffio nell’eterno è un attimo coadiuvato dall’intuito.

Oggi il mondo sovranista, o quello che ne mima le gesta, è ricaduto all’ombra dell’11 settembre nel cono denominato Oriana Fallaci – Marcello Veneziani definì Gianna Preda l’Oriana Fallaci di destra – dimenticandosi di una professionista delle lettere. Nel 1966 una sua intervista a Giorgio La Pira, allora sindaco di Firenze, costrinse Amintore Fanfani, all’epoca ministro degli Esteri, a dimettersi. Ora accontentiamoci delle Michela Murgia, delle Bianca Berlinguer, delle Concita De Gregorio, delle Lucia Annunziata. Quindi se permettete rimango in libreria tra gli scaffali polverosi dove i racconti di Gianna Preda ci ricordano da dove veniamo, quali sono i nostri difetti in modo da continuare ad arrabbiarci “sempre di più per le tante storture, iniquità e laide faccende fors’anche per la paura di non aver tempo di vedere andare a posto qualcosa in questo nostro Paese”.

Di Lorenzo Cafarchio

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