Cartàstraccia – Giuseppe Terragni
- 20 Aprile, 2020
- 0 Comment
CARTASTRACCIA
Il libraio di Altaforte racconta..
Capitolo 13 – Giuseppe Terragni
Al numero 1 di viale Sinigaglia a Como c’è un edificio bianco, un trapezio squadrato di cinque piani che corre parallelo al lago. Fa quasi a pugni, il Transatlantico, come lo chiamano i comaschi, con il palazzo adiacente, in stile ottocentesco.
Ed effettivamente la società Novocomum si aspettava un qualcosa di simile: del resto, le carte consegnate dal giovane architetto incaricato dei lavori prevedevano un impianto tradizionale.
Ma si sa, il genio non accetta restrizioni e con un gesto rivoluzionario, esplosivo, illegale, l’architetto stravolge il progetto, realizzandone uno completamente opposto di pura impronta avanguardista. Follia! Scandalo!
La città impazzisce ed eccolo lì, Giuseppe Terragni, futura punta di diamante del razionalismo italiano, che se la ride di fronte alla folla scandalizzata da quell’edificio avveniristico che, col suo lampo bianco, sembra dire, un po’ marinettianamente, io sono il progresso e ho sempre ragione, anche quando ho torto.
Dopo il ‘700 non è più esistita nessuna architettura.
Scriveva questo Antonio Sant’Elia nel luglio 1914 quando, futurista fra i futuristi, lanciava il suo manifesto per un’architettura nuova, audace, rivoluzionaria.
Un visionario destinato a tracciare un solco nuovo nella storia dell’architettura italiana con la sua città, simile ad un immenso cantiere, agile, mobile, dinamico.
Non vedrà mai realizzato il suo progetto, Sant’Elia, perché come molti partirà in guerra da volontario, al fianco di Marinetti e Boccioni, e in guerra morirà nell’eroico tentativo di assalto a una trincea nemica, colpito dal fuoco della mitraglia.
Un esempio per la sua città, Como, che, sentendosi forse in difetto, decise di dare i natali a un altro grande architetto, punta di diamante del futuro razionalismo italiano: Giuseppe Terragni.
Non fu da meno dell’illustre concittadino. Scanzonato, insofferente per gli schemi precostituiti, Terragni seppe innovare il concetto di architettura lanciando la sua personale sfida non tanto alle stelle quanto al borghese attaccamento alle forme classiche ottocentesche.
E lo fece rivoluzionando totalmente un disegno di edilizia abitativa, il Novocomum, che avrebbe dovuto avere proprio quello stile da metà ‘800 tanto odiato. Non ci stava, Terragni, e di nascosto modificò l’intero progetto, presentando a un’esterrefatta città la sua personale concezione di casa, quella razionalista.
A nulla valsero le proteste e le denunce della commissione edilizia che, sentendosi beffata da quel giovane architetto, decide di aprire un’inchiesta.
Terragni ride e osserva divertito la polemica che si apre ma il dado è tratto, la sfida è accolta: dopo il ‘700 rinasce un’architettura, quella del razionalismo italiano.
Due architetti, due soldati.
Sì, perché è proprio degli uomini completi prendere le armi a difesa di un’idea e di una Nazione. Allo scoppio della guerra, Terragni, integralmente fascista, partirà come capitano di artiglieria, al pari di tanti altri cittadini, senza chiedere onori o favori ma solo oneri.
Perché questo fa un soldato politico, perché questo fa un cittadino quando la Patria chiama: abbandona le carte e i progetti personali, lascia da parte l’individualismo e risponde alla chiamata, anche se questa significasse morte certa.
E lui, profeta del fascismo sociale e proletario, non poteva non rispondere alla chiamata che l’Italia, e la storia, stavano lanciando. Non morirà però in guerra.
Venne rispedito a casa, gravemente malato, dove morirà nel luglio 1943, vestito del vecchio soprabito militare che portava sempre da quando era tornato dal fronte e con in tasca alcuni fiori secchi colti sul fronte russo.
A Como, di fronte al lago, il monumento ai caduti costruito da Terragni sui disegni di Sant’Elia sancisce nel granito l’unione di due destini che alla rivoluzione hanno improntato la loro vita.
Lorenzo Cafarchio