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Cartastràccia – Massoud

CARTASTRACCIA

Il libraio di Altaforte racconta..

Capitolo 28 – Ahmad Shah Massoud

Panjshir. La vallata dei cinque leoni.

Si chiama così questa terra ai piedi delle montagne dell’Hindu Kush dove cinque leoni, i cinque wali, proteggono terre, messi e genti.
Nasce qui Ahmad Shah Mas’ud e qui, di fronte all’invasione sovietica prima e a quella talebana poi, combatte, il leone del Panjshir.
Combatte e vince, diventando un simbolo per una terra che non vuole, non può arrendersi.
In lui il sogno di una nazione, di un popolo in lotta che diventa padrone del proprio destino, che si fa stato e diventa sovrano.
Non potevano permetterlo, loro, gli architetti del mondialismo ma Mas’ud non cede, non capitola. Lo uccidono nel modo più vile, più abietto. Sperano, illusi, che con la sua morte non potrà più mordere il leone del Panjshir e festeggiano una vittoria effimera perché sì, il leone è morto, ma tra le vallate dell’Hindu Kush c’è chi è pronto, ancora una volta, ad imbracciare il fucile a difesa della propria terra.

cartastraccia - altaforte edizioni

Si leva il pakol, Mas’ud, e si siede di fronte ai due giornalisti tunisini venuti per intervistarlo.
Si siede e sorride. Poi più nulla, se non l’esplosione.

Muore così il leone del Panjshir, nell’unico modo in cui potevano sorprenderlo: con l’inganno e la viltà di un attentato.
Con lui si spegne, o sembra spegnersi, il sogno di un’Afghanistan che prende in mano le redini del proprio destino e si fa stato, si fa sovrano.
Ci avevano creduto in tanti nelle vallate dell’Hindu Kush e a molti quel soldato sembrava un segno della provvidenza. Del resto, il Panjshir è la vallata dei cinque leoni, dei cinque wali che da tempi immemori ne proteggono le terre e le genti.

Avevano imbracciato tutti le armi guidati dal leone del Panjshir: prima contro i sovietici, poi contro l’oscurantismo talebano.
Non era una cosa che gli architetti del mondialismo potevano permettersi: Mas’ud doveva morire. Solo così, pensavano i cani, avrebbero potuto mettere fine a tutto quel fermento di bandiere, di passioni e di cuori.

Ci sono quasi riusciti. Con la morte di Mas’ud si sono spente le voci e i sorrisi, l’Afghanistan è caduto sotto le mani rapaci dei signori delle armi e della droga.
Gli stessi che vengono applauditi nei consessi internazionali.

Eppure non tutto è finito. Nei villaggi ai piedi delle montagne sono in tanti a non aver dimenticato quel soldato col pakol e c’è ancora chi, nel sogno di una Nazione, ha deciso di imbracciare i fucili.

Lorenzo Cafarchio

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