Cartastràccia – Salgari
- 29 Settembre, 2020
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CARTASTRACCIA
Il libraio di Altaforte racconta..
Capitolo 33 – Salgari
La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati.
Inizia con una tempesta il romanzo di Salgari che ha fatto sognare ad occhi aperti intere generazioni di giovani italiani. Sì, perché le leggevamo tutti le avventure di Sandokan, Yanez e delle tigri di Mompracem e le sognavamo tra il fumo dei cannoni inglesi, le foreste del Borneo e i sotterranei delle pagode.
E le sognava anche Salgari che dall’Italia non era mai uscito e odiava, odiava ciecamente quel suo lavoro da scrittore che era diventato una necessità, una prigione.
Sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno e alcune della notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi, scriveva.
Inchiodato a un tavolo, nella stessa identica condizione di tanti, troppi italiani intrappolati in quella gabbia che ha creato il mondo moderno: casa, lavoro, casa, lavoro, casa, lavoro.
Ma tutti abbiamo bisogno di avventure e non è mai troppo tardi per solcare i mari con la Perla di Labuan.
Tutti hanno bisogno di avventure, soprattutto quando si trovano incatenati a una scrivania, intrappolati nel proprio lavoro, in una vita che sembra sempre più stretta.
Non sempre però si può prendere e partire e allora tocca lavorare di fantasia, creare avventure dal nulla, fantasticare e Salgari in questo è stato maestro.
Chiuso nello studio a scrivere romanzi su romanzi per poter pagare i debiti, Salgari riesce a creare un universo fatto di coraggio, incredibili luoghi e combattimenti che han fatto, e fanno, sognare generazioni di italiani.
Dalle coste del Borneo alle pagode dell’India, fino ai mari più profondi a bordo dei praho delle Tigri di Mompracem, con lo sguardo indagatore di Sandokan e il fare scanzonato di Yanez.
Un mondo, quello di Salgari, fatto forse anche di speranza. Quella di riuscire a liberarsi dalla scrivania, da un lavoro nato per passione e che ora odiava profondamente, dal carcere del mondo moderno in cui vivi per lavorare e nulla di più, come l’ingranaggio di una catena di montaggio che non ha mai fine.
Una condizione in cui sono imprigionati tanti, troppi italiani, nell’illusione di poter saldare un debito, comprare una casa, fare una vacanza da postare sui social.
Il problema è che non abbiamo bisogno di vacanze, abbiamo bisogno di avventure perché siamo un popolo di navigatori e dobbiamo tornare ad esserlo.
Che sia a bordo della Perla di Labuan o nelle jungle Birmane, dobbiamo tornare a creare e vivere avventure.
Dobbiamo tornare noi stessi.
Lorenzo Cafarchio