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Cartastràccia – Piero Ciampi

CARTASTRACCIA

Il libraio di Altaforte Edizioni racconta..

Capitolo 67 – Piero Ciampi

“L’anarchia è ordine”. Gli ossimori sono il pane ed il vino, quotidiano, di chi corre sulla fune sospeso tra superuomo e fallimento. Pierre-Joseph Proudhon lo sapeva e lo ha tramandato nella terra febbrile d’Europa. In molti hanno ripreso queste parole, incollandosele al bavero della giacca oppure usandole come plettro di una chitarra che suona libertà. Piero Ciampi è stato il musico di chi non ha nulla, ma cerca l’astratto. Ribelle per contrapposizione, ribelle cinto di noia borghese. Da Livorno, paragonava la sua città ad un’isola di cui era il personale Robinson Crusoe, ha indagato sul genio in musica inseguendo solo l’arte. Come sposa la maestria che diventa una prigione. Prigione che ha abbandonato il 19 giugno 1980 a soli 45 anni per un cancro all’esofago.

Tu no. C’è una sua esibizione, visibile su YouTube, in cui incalzato da Charles Aznavour e Paolo Villaggio canta sui canali Rai visibilmente impacciato, con le braccia conserte, il suo brano Tu no. “Ti ricordi via Macrobio?/ Qualche volta eri felice”. L’applauso del pubblico, Piero vestito di tutto punto senza cravatta, alla fine dell’esibizione scioglie la tensione. Un inchino rivolto agli spettatori. “Sedevamo nel giardino/ Mi ascoltavi con amore”. Il viso scavato, perché quando hai tutte le carte in regola per essere un artista la vita stessa diventa un gorgo dove si salva solo la musica.

Piero Ciampi cartastraccia

Ciampi ha vissuto Livorno, Genova e Parigi. Ha suonato all’ombra della Tour Eiffel sotto lo pseudonimo di Piero l’italianò, per diventare Piero Litaliano, prima di tornare al suo cognome. In Francia, come ricorda Giorgio Ballario, ha conosciuto “un altro grandissimo irregolare, Louis-Ferdinand Céline” esibendosi nei locali parigini.

Mentre l’Italia assomigliava, nota dopo nota, sempre più al lato B di un 45 giri d’oltreoceano, Piero fuggiva dal successo. Gino Paoli lo descrisse come un egoista mostruoso. Perché per inseguire l’ispirazione bisogna essere devoti ad essa. Solo a lei. Paoli portò Piero Ciampi davanti ad Ennio Melis, deus ex machina di RCA. Era il 1964 ed il cantautore livornese siglò un accordo da due milioni e mezzo di lire con la casa discografica romana. Usciti dagli uffici Ciampi tranchant: “Gino, gliela abbiamo buttata al culo, vero?”. Sparì per tre anni, forse alla ricerca della moglie in Inghilterra. Ma Melis lo perdonò e gli fece incidere altri dischi, perché il genio non conosce valuta monetaria.

“Quando viene la tempesta, uffa che noia”. Se la musica scrivesse un’enciclopedia alla voce inusuale ci sarebbe il volto e la descrizione di Piero Ciampi. L’uomo che tentò tanto, come in uno dei suoi brani più sibillini. “Tento ogni giorno di riflettere e di capire”, il mondo che muta eppure non viene compreso da un animo reietto figlio dello spartito incalzante degli anni ‘60 e ‘70. “La morte mi fa ridere, ma la morte mi fa ridere, la vita no, no, no”. Un inno ai giovani, immersi nelle atmosfere dei Joy Division ieri e dei Baustelle oggi, capaci di farsi fare a pezzi, istante dopo istante, dall’amore. Perché l’amore di Piero Ciampi è scalzo e noi corriamo assieme a lui.

Di Lorenzo Cafarchio

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