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Il Primato Nazionale #38

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Novembre – 2020

3,00

Descrizione

Per mesi i media hanno parlato di George Floyd e Willy Monteiro, puntando il dito contro il razzismo dilagante nelle società occidentali. Anche se quegli omicidi, con il razzismo, non avevano nulla a che fare. Al contrario, Pamela, Desirée, David Raggi, Stefano Leo, Filippo Limini e tanti altri sono presto finiti nel dimenticatoio. I loro corpi senza vita, a quanto pare, erano troppo ingombranti per le nomenklature politico-mediatiche di casa nostra e d’Oltreatlantico. In breve, su Floyd e su Willy si sono accesi i riflettori, è stata costruita una narrazione, si è messa in moto la macchina del martirio globalista. Su Pamela e gli altri, invece, no. La loro colpa? Il colore (sbagliato) della pelle. Eh sì, in questi mesi abbiamo scoperto un’agghiacciante verità: le vite dei bianchi non contano. Ed è proprio di loro che parla il nuovo numero del Primato Nazionale.

Come evidenzia Adriano Scianca nel suo editoriale, «l’Italia del 2020 è questa: coloro che raccontano il Paese e coloro che subiscono questo racconto osservano la stessa realtà, ma vedono cose completamente diverse. Ed è qui, molto prima di qualsiasi ossessione per le fake news, che nasce la sfiducia nei confronti dei media tradizionali e, più in generale, per il mondo delle cosiddette élite». Nello specifico, prosegue il direttore del Primato Nazionale, «la vicenda di Pamela Mastropietro ha sì occupato le cronache, finendo in prima pagina per giorni. Ma è stata trattata come una tragica fatalità, un omicidio puntiforme, isolato, che non ci dice nulla della società circostante. Che non ha un retroterra, delle cause scatenanti, dei mandanti morali. Incontri la persona sbagliata e ti uccide, punto».

Se la morte di Floyd o Willy è giocoforza lo specchio di una società razzista (anche se gli assassini non erano affatto razzisti), le vittime degli immigrati non sono mai l’effetto dell’immigrazione di massa. Questo, almeno, è quello che ci dice la sociologia autorazzista che spopola nelle televisioni, e che Davide Di Stefano analizza nel focus con dovizia di particolari: «Non è la dinamica dei fatti a determinare il rilievo mediatico e l’impatto politico-sociale del singolo fatto di cronaca, ma l’identità dei protagonisti. Filippo Limini, ragazzo italiano di 19 anni, è rimasto ucciso in una rissa in discoteca a Bastia Umbra un mese prima della morte di Willy Monteiro. Sotto accusa ci sono tre ragazzi albanesi, la notizia è stata riportata solo a livello locale. Della dinamica dei fatti, se Filippo fosse o meno un bravo ragazzo, o quali sogni avesse, non era importato a nessuno perché non c’era nessuna narrazione funzionale da costruire». Tutto ciò nasce senz’altro da un autorazzismo radicato nelle élite occidentali. E infatti è proprio questo il tema del contributo di Valerio Benedetti: secondo il caporedattore del Primato Nazionale, l’Occidente è succube di una «tirannia della penitenza» che viene da molto lontano. In altre parole, l’autorazzismo ha radici antiche, ben precisi padrini intellettuali e una lunga storia di cui tutti devono essere consapevoli.

Per il resto, il Primato Nazionale è come sempre ricco di temi e approfondimenti. Si parte da un’inchiesta di Cristina Gauri su «chi si è arricchito durante la pandemia», per arrivare al contributo di Marco Gregoretti: il pronipote di Bruno Gregoretti ci racconta chi era l’eroe a cui è intitolata la nave della Guardia costiera per cui è stato processato Matteo Salvini. Da segnalare è poi una bella intervista di Fabrizio Vincenti a Daniele Capezzone, che ha da poco pubblicato il suo nuovo libro Likecrazia: lo show della politica in tempo di pace e di coronavirus. Molto ricca è anche la sezione storica, dove Corrado Soldato ci parla di quando avvenne la svolta patriottica di Benito Mussolini, Alfonso Piscitelli ci racconta del piano segreto degli Alleati per smembrare l’Italia alla fine della guerra, e Davide Olla ci presenta la traduzione del celebre Discorso dei fiumi di sangue (1968), allorché il conservatore britannico Enoch Powell previde l’invasione dell’Europa e mise tutti in guardia dall’immigrazione di massa e dai disastri della società multirazziale. Ma prima degli approfondimenti culturali, ovviamente, non può certo mancare la galleria di rubriche curate dai nomi più autorevoli del sovranismo italiano: da Vittorio Sgarbi a Simone Di Stefano, da Caio Mussolini ad Alessandro Meluzzi, da Marco Scatarzi a Diego Fusaro, per arrivare fino a Matteo Brandi, Paolo Bargiggia e tanti altri.

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