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Cartàstraccia – Robert Brasillach

CARTASTRACCIA

Il libraio di Altaforte racconta..

Capitolo 2 – Robert Brasillach

Hanno ucciso un poeta!

Eccolo lì, Brasillach, poeta nero di Francia. Uno di quelli per i quali l’arte era azione e la poesia, Idea.
Giovane, senza un soldo, aveva iniziato la sua carriera saltando pasti e cene per potersi permettere i biglietti di teatro, che amava ardentemente. E ancor più ardentemente amava la Francia, tanto da sacrificarle quanto aveva di più prezioso: la sua vita.
Hanno ucciso un poeta!“, urlano. Ma Brasillach, davanti agli sgherri che si apprestavano a fucilarlo, aveva gridato “Coraggio! Viva la Francia!“, conquistandosi l’immortalità di chi vive nell’Idea.

Una voce dal pubblico: “È una vergogna!”
Robert Brasillach: ” È un onore!”

Je suis partout. Io sono dappertutto. Questo il nome del settimanale di cui fu caporedattore dal giugno 1937 al settembre 1943. E Brasillach, poeta nero di Francia, dappertutto lo era davvero, nella storia e nell’immaginario di chi, anche a guerra finita, non ha mai voluto capitolare.
Una vita, la sua, vissuta all’insegna dell’arte come azione, della poesia come idea, fino al suo epilogo più tragico e, non dimentichiamolo, più eroico. Una vita sbocciata nella Francia sopita nell’intervallo tra i due conflitti mondiali, improntata all’esempio del padre, eroe della Grande Guerra caduto sul fronte, maturata al servizio di un ideale che affondava le sue radici nei secoli e nei millenni, conclusasi, ma senza mai sfiorire, in una cella dopo essersi consegnato agli sgherri della futura democrazia francese per salvare l’anziana madre, arrestata per rappresaglia.Rinchiuso in una cella, come una bestia, stessa sorte che toccò a molti poeti d’azione. Rinchiuso e senza possibilità di grazia: a nulla valsero gli appelli di tutto il mondo culturale di Francia, a nulla servì l’incontro tra Jacques Isorni, avvocato dello scrittore, con il Generale De Gaulle in persona. Come per Andrea Chénier, poeta ucciso sotto la ghigliottina dei cani di Robespierre, il destino di Brasillach è segnato e non sarà un caso se proprio a Chénier lo scrittore vorrà dedicare il suo ultimo saggio, iniziato e concluso tra le mura del carcere.

È il 6 febbraio 1945 alle 9:38. Risuonano 12 spari. Il corpo a terra del poeta.

Hanno ucciso un poeta”, urlano. Ma come si può uccidere chi, davanti alla morte, esorta i propri carnefici a consegnargli il martirio, urlando “Viva la Francia!”? Fisicamente, forse, non nello spirito, indomito, che ancora oggi è faro e guida per chi non vuole arrendersi al fatalismo.

Lorenzo Cafarchio

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