Cartàstraccia – Tamara De Lempicka
- 08 Giugno, 2020
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CARTASTRACCIA
Il libraio di Altaforte racconta..
Capitolo 20 – Tamara De Lempicka
È il 1972 e la Galerie du Luxembourg di Parigi organizza una retrospettiva dell’opera di Tamara de Lempicka.
Nessuno se la ricordava più, lei che era un tableau vivant. Eppure, a distanza di 40 anni dalla sua morte, continua ad essere bella, anzi, bellissima e lo fa con la stessa prepotenza dei ruggenti anni Venti nei quali lei, donna-automobile, si infila sfrecciando con eleganza.
Ora, immaginatevela al cavalletto con la musica di Wagner a riempire la stanza mentre lei, valchiria dagli occhi di ghiaccio, dipinge le sue donne giunoniche e arroganti che, dall’alto della loro monumentale aristocrazia, quasi prendono a schiaffi chi guarda.
Immaginatevi una donna libera, liberissima, che ama Roma e l’Italia e che, tra un amante e una notte in bordello, riesce a creare un’arte nuova, diversa. Perché il suo imperativo era proprio questo, creare uno stile altro per uscire, trionfalmente, dalla banalità in cui era sprofondata l’arte.
Per ergersi, come lo spirito dell’epoca richiedeva, in piedi tra le rovine, questa volta della pittura.
Una diva, anzi, LA diva.
Sì, perché Tamara de Lempicka è stata la dea dagli occhi d’acciaio dell’epoca dell’automobile.
Eccola, infatti, nel suo quadro più famoso, l’autoritratto a bordo della sua Bugatti verde. Capelli biondi, occhi di ghiaccio , guanti e un casco di pelle. Bellissima e inaccessibile mentre sfreccia a tutta velocità nei ruggenti anni Venti di cui diventa simbolo.
Vivo una vita ai margini della società, e per gli emarginati le regole della società comune non valgono.
Per lei valevano ancora meno. Immaginatevi una pittrice contrita e china sulla tela mentre traccia le linee di contorno di delicate e pudiche Veneri. Create questa immagine, prendetela e gettatela via con violenza.
Tamara de Lempicka non si china sulla tela, la domina interamente e fa del cavalletto il suo trampolino mentre la cavalcata della Valchirie di Wagner riempie la stanza e dà ancora maggior forza ai pennelli che tracciano sì delle linee ma di potenti, sensuali e giunoniche donne.
Le stesse che, dalle tele, sembrano guardare con spavalderia e aristocratica arroganza lo spettatore, quasi sovrastandolo con l’elegante peso della loro estrema e irraggiungibile bellezza che sa di libertà.
E sulla libertà si incardina la vita di questa pittrice, tra amanti, notti passate nei bordelli, droga e tumulti di piazza.
Ognuno, in fondo, ha le sue debolezze e quelle di Tamara e Lempicka erano le tentazioni, quelle più forti.
Si dice che in un Montparnasse ebbro di alcol e di futurismo, al focoso grido di Marinetti “Bruciate il Louvre!” rispose una sola voce, limpida di donna che urlava “e andiamo!”.
Si dice anche che a chi chiedeva lumi sulla sua relazione con D’Annunzio, rispondesse ridendo che lei, donna giovane e bella, si era trovata davanti un vecchio nano in divisa.
Era così, senza filtri, senza limiti, sopra tutti e tutto senza curarsi di convenzioni borghesi.
Lei bionda, stupendamente bionda ammalia tutti e a chi la guarda fa intravedere i fantasmi involontari, come i troverà a dire l’editore Franco Maria Ricci, di una seduzione anni Trenta.
Figlia di un ventennio carico di sfide, di emozioni, le travasa tutte nella sua pittura monumentale che esce dalla palude di banalità nella quale era sprofondata l’arte per creare uno stile unico, nuovo.
Per ergersi, come lo spirito dell’epoca richiedeva, in piedi tra le rovine, questa volta della pittura.
Lorenzo Cafarchio