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Cartastràccia – Giovanni Papini

CARTASTRACCIA

Il libraio di Altaforte Edizioni racconta..

Capitolo 53 – Giovanni Papini

Le librerie hanno una voce e parlano.

Spesso il richiamo è flebile, suadente e seducente. A volte invece ha il suono di un miope grido gutturale. Questo succede quando tra le mani finisce una copia di “Un uomo finito” di Giovanni Papini.
Fiorentino toscano, toscano fiorentino e per questo polemista sublime dell’Italietta che divenne Italia, come lo definì Antonio Gramsci. E lo divenne, alla fin fine, anche grazie ai suoi scritti fatti di eterne certezze, di verità, anche “piccole o meschine” ma vere. Un Rivoluzionario. “L’espressione naturale del mio spirito è la protesta”, amava dire.
E in fondo, questo divenne. Protesta pura, opposizione a prescindere, un, come ammetteva, “ebreo errante del sapere”.

cartastraccia - giovanni papini

Allievo di Max Stirner che incontrò “e mi parve di aver trovato finalmente il solo maestro del quale non potessi fare a meno. Dal solipsismo conoscitivo passai al solipsismo morale”.

Giovanni Papini ha inciso nei suoi scritti le parole del vecchio Michelangiolo, “non nasce pensiero in me che non porti sculpita la morte”. In guerra contro chi imponeva allo spirito – i filosofi hanno come compito primario quello di rinnovare il pensiero, ma non hanno pensato “all’anima loro” – di conoscere se stesso. Al diavolo i greci del “conosci te stesso” e anche Ibsen con il suo “sii te stesso”. Un uomo finito, quindi? Neanche per sogno.

Papini nasce oggi, tra queste poche righe, e non morirà mai. Proprio adesso mentre “mi sento di appiccare un incendio tale da non potersi più spegnere”. Fuoco e acqua. Le sue tempeste hanno irrorato la prima metà del secolo breve, maledetto ‘900, mentre lui si è abbeverato in maniera sconvolta e rapsodica dalla cultura europea. “Finché sarà giorno resteremo a testa alta e tutto ciò che potremo fare non lo lasceremo fare dopo di noi”, Goethe canta fortuna all’alba. Canta nelle Sturm und Drang. Canta Papini e la sua voce, come quella delle librerie, ci chiama. Quel viso, quegli occhiali spessi come le incomprensioni e i cambi repentini d’idea, quei capelli alla Eisenstein hanno accompagnato la società ai piedi del “suicidio in massa, suicidio cosciente, concordemente deliberato, tale da lasciar sola e deserta la terra a rotolare inutilmente nei cieli”.

Autodidatta della conoscenza, appena diciottenne, arriva a chiedersi: “La vita è degna di essere vissuta”. Rispondiamo noi, per interposta persona, sì. Perché fra’ Bonaventura, suo nome religioso, volle essere tutto. Antipatico anticipatore delle lettere che saranno. Il solo Eugenio Montale lo salutò davanti alla morte: “Una figura unica, insostituibile, a cui tutti dobbiamo qualcosa di noi stessi”. Noi stessi battezzati dagli scritti di Giovanni Papini lottiamo per “cambiare le anime” del mondo.

Di Lorenzo Cafarchio

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