CARTASTRACCIA
Il libraio di Altaforte Edizioni racconta..
Capitolo 68 – Giuseppe Prezzolini
Fascista per gli antifascisti, antifascista per i fascisti. Dura la vita dell’esule in Patria parafrasando un celebre volume, edito da Guanda, firmato Marco Tarchi. Questo è stato Giuseppe Prezzolini, un apolide tutto italiano. Un errante tricolore che ha attraverso un secolo d’Italia, dal 1882 al 1982, scrutando negli occhi le pieghe più intime della Nazione. A un passo dal suo centesimo compleanno, il 14 gennaio 1982, Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, ricevette al Quirinale Prezzolini per conferirgli il Premio Penna d’Oro. Durante il suo discorso Pertini esortò lo scrittore, rifugiatosi ormai da anni a Lugano, a tornare in Italia. La risposta, durante l’eloquio di Prezzolini, fu lapidaria: “Stia tranquillo presidente! In Italia ci vengo tutti i giovedì per compare la verdura”. Una landa divenuta mercato ortofrutticolo alle prese con i ciarlatani che urlano “i limoni signora” a chicchessia.
I titoli dei suoi libri epitaffi sopra le nostre teste. Da Codice della vita italiana a Dio è un rischio passando per L’italiano inutile e Manifesto dei conservatori. Proprio qui pontificava sul Vero Conservatore: “Prima di tutto il V.C. si guarderà bene dal confondersi con i reazionari, i retrogradi, i tradizionalisti, i nostalgici”. Una piaga insita nell’animo della destra. “Perché il V.C. intende ‘continuare mantenendo’, e non tornare indietro e rifare esperienze fallite”. Il riflesso del cane di Pavlov, atteggiamento attecchito tremendamente nel retrivo. “Il V.C. sa che a problemi nuovi occorrono risposte nuove, ispirate a principii permanenti”. Lungimirante filo rosso che collega la tradizione con il progresso.
In un articolo di qualche tempo fa Adriano Scianca rispondeva, colpo su colpo, alle amache di Michele Serra citando Giuseppe Prezzolini. Parlando di destra, di cultura e di imbarbarimento spesso la parola e la lettera cadono tra le profonde ed abissali acque dell’insurrezione. Ed è qui che lessi: “Si possono fare rivoluzioni senza ‘teppa’? Non lo crediamo. Le rivoluzioni non si fanno né con gli studiosi, né con la gente in guanti bianchi”.
La realtà persa di vista, l’uomo tramutatosi in un automa devoluto alla sua mistificazione. Carnefici e vittime delle proprie esequie. Tra le pagine de La Voce, rivista fondata nel 1908 e chiusa nel 1916, insieme a Giovanni Papini ha ospitato il gotha del pensiero del ‘900. Ardengo Soffici, Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Margherita Sarfatti, Scipio Slataper, Renato Serra, Benito Mussolini e decine di altri autori trovarono il loro battesimo, oppure un porto sicuro, tra le colonne de La Voce. Madre per il pensiero degli antifascisti e dei fascisti. Una palestra che produsse avanguardia intellettuale. “Non si distrae chi è intento ad un lavoro”, il motto della rivista scolpito tra le pietre della cultura italiana.
In uno slancio céliniano scrisse: “Non c’è niente da fare: veniamo dal nulla, siamo nulla e andiamo verso il nulla”. La “canticchiante e danzante merda del mondo”, attraverso le parole di Tyler Durden in Fight Club. Prezzolini, l’intellettuale che diede sempre del tu al Duce, poté chiedere tutto al Fascismo, ma preferì emigrare negli Stati Uniti d’America, dove nel 1940 divenne cittadino americano, mentre dopo il 1945 scelse scientemente, mentre tutti i giornali gli chiudevano le porte in faccia, la via dell’esilio volontario. Il tutto racchiuso nell’ombra di “una speranza storica”, quella che rappresenta l’Italia, “che si va facendo realtà”.
Di Lorenzo Cafarchio